Valerio Barghini racconta

Non è mai carino, giornalisticamente, parlare di se stessi in prima persona. Però ci sono situazioni in cui è necessario farlo. E questa è una di quelle. Non tanto e non solo per stilare una sorta di relazione di quello che è successo, ma anche – forse soprattutto – per sottolineare la soddisfazione personale, forse quasi inaspettata, che hai avuto nel fare quanto ti era stato, un mese prima, chiesto.

Subito gli antefatti. È l’inizio di ottobre quando gli amici Paolo D’Arrigo e Cristina Miragliotta di Canale Sicilia (testata di cui nel frattempo mi onoro di essere diventato Direttore Responsabile) fanno da tramite, contattati dall’amica (ora diventata con sommo orgoglio “amica comune”) Maria Sidoti, docente di Informatica all’Istituto di Istruzione Superiore “Borghese-Faranda” di Patti. Motivo del contatto, la richiesta di tenere una sorta di lezione-conferenza, finalizzata un po’ a spiegare cosa ci sia dietro il quotidiano che ogni giorno trovano in edicola e un po’ per “stimolare” quella parte di allievi dell’IIS “Borghese-Faranda” impegnata da tempo nella realizzazione di un giornalino scolastico, “Il Borghenauta”, pluripremiato con il Diploma di Gran Merito. Destinatari dell’incontro le classi quinte dell’Istituto, potremmo dire “in tutte le salse”: tecnica, commerciale, professionale ed agraria. Ne è scaturito l’incontro, tenutosi l’8 novembre nell’Aula Magna dell’Istituto, dal titolo “Carta stampata e web: binari paralleli”, con la bella introduzione curata dalla Dirigente, Prof.ssa Francesca Buta.

Tra i tormentoni che circolano oggi tra la gente comune ci sono espressioni tipo “come sono cambiati i giovani” o “il mondo della scuola non è più quello di una volta”. Luoghi comuni che fino a qualche anno fa non mi appartenevano ma che ora un po’ li ho fatto miei, un’ulteriore conferma (inutile trincerarsi dietro il dito mignolo) del trascorrere degli anni. Non nascondo, dunque, una certa titubanza prima dell’incontro dell’8 novembre, legata soprattutto al pensiero di cosa “inventarmi” per coinvolgere questi ragazzi e destare il loro interesse. Un po’ come capitava a noi, generazione anni Settanta che le scuole superiori le abbiamo frequentate dalla seconda metà degli anni Ottanta, quando in occasione, ad esempio, di una “uscita didattica” (così chiamate eufemisticamente le “gite”), di “didattico”, più che i monumenti della città che si visitava, consideravamo lo stare insieme ventiquattro ore su ventiquattro, goliardate notturne comprese, con i compagni di classe che nella vita di tutti i giorni incontravamo solo tra le mura scolastiche. A farmi ricredere, in pochi attimi, lo sguardo interessato e attento di questi ragazzi a mano a mano che proseguivo nell’excursus dei miei quasi 24 anni a “il Giornale”; le espressioni divertite (ma affatto irriverenti) di alcuni quando ho citato la materia di studio grazie alla quale sono entrato nell’affascinante mondo dell’informazione e de “il Giornale”, stenodattilografia e quando hanno “scoperto” che per digitare sulla tastiera del computer si possono (anzi, si devono) utilizzare tutte le dita. Lo sguardo affascinato, quasi fossero tutti lì presenti, quando ho citato in ordine rigorosamente cronologico i Direttori che ho visto “passare” a Milano in via Negri 4, sede principale de “il Giornale”, da Indro Montanelli a Vittorio Feltri (tornato nel 2009); da Mario Cervi a Maurizio Belpietro; da Mario Giordano ad Alessandro Sallusti. O quando nei quasi tre quarti d’ora di monologo (“spezzato” dalle tante e stimolanti domande fatte, contornate da un velo di sottile e sana curiosità, che hanno caratterizzato la parte finale dell’incontro) ho cercato di raccontare la vita di redazione, le riunioni, gli orari (inconsueti e fuori dal comune) nei quali essa si svolge e come si è trasformata in seguito alla nascita delle edizioni web. Che, sia chiaro, non le si è volute “demonizzare”, sottolineandone le enormi potenzialità. Anche se – certamente – un po’ di sano “romanticismo” non guasta. Ma il problema non è la carta (dalla quale, è un dato ufficiale, continua a derivare per le aziende editoriali ben il 90 per cento dei ricavi) ma di come essa viene “riempita” e – soprattutto – di come far tornare a leggere le persone. Per il resto, il web è un ottimo strumento informativo che va, sicuramente, maggiormente professionalizzato. Certo, un giovane che entra oggi nel mondo del giornalismo, automaticamente è catapultato sulla “rete”. Ma un buon giornalista deve “saper fare”, guardando anche alla qualità dell’informazione, aspetto forse un po’ trascurato. Ma “qualità” significa anche “pagare” l’informazione (il dibattito se sia giusto o meno fornire informazioni gratuite sul web è sempre più d’attualità), sia su carta che su altri strumenti. Ripeterei l’incontro dell’8 novembre al “Borghese-Faranda” di Patti? Sicuramente sì. E scusate se, per una volta, siamo caduti nel “tranello” della “prima persona”. Un aneddoto: Vittorio Macioce, grande persona e grande amico, oltre che brillante penna, Caporedattore presso la sede romana de “il Giornale”, lesse – da divoratore di letture quale è – il mio primo articolo; una sorta di esperimento. Sapete quale fu l’esito? “Riscrivilo. Dimenticavo: questo è quel che resta del foglio A4 sul quale era stampato il tuo compitino. Ricordati due cose. La prima: quando scrivi un articolo, immagina che in quel momento stai raccontando una favola ad un bimbo; il lettore è quel bimbo che deve rimanere catturato dal tuo racconto. La seconda: di quello che pensi tu non interessa niente a nessuno; il tuo pensiero lo devi lasciare trapelare tra le righe”. Così l’amico Vittorio mi apostrofò. Gli farò leggere anche questo pezzo. Vi farò sapere l’esito.

VALERIO BARGHINI

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